Da “Notiziario Saveriano”, n. 133, (1974) pagg. 81-96 (articolo non firmato)

In memoria del Confratello

Padre Giovanni Morandi

Commessaggio, 1. 4. 1903 - Parma, 3.2. 1974


Il P.Giovanni Morandi è morto a Parma, alla Casa Madre, il 3 febbraio scorso. Il giorno precedente ricorreva il cinquantesimo della sua Professione religiosa nell'Istituto. In questi cinquant'anni è racchiusa tutta la sua attività come saveriano.
P.Morandi era nato a Commessaggio (Mantova) il giorno 1 aprile 1903 ed era entrato all'Istituto nel gennaio 1923, dopo avere superato notevoli difficoltà, tra cui soprattutto la opposizione dei suoi genitori, ed in particolare di suo padre, opposizione in parte giustificata dal fatto che Giovanni era l'unico figlio maschio. Nella domanda di ammissione egli scrive: "L'unico mio movente è l'estensione del Regno di Dio su questa terra, secondo una mia naturale inclinazione. Da molto tempo nell'animo mio sta il desiderio di dedicarmi più completamente all'apostolato (egli era allora in seminario, a Cremona), ma dapprima mi trattenne il timore di una velleità senza
costrutto, poi l'aspra ostilità dei genitori ad ogni mio pensiero che lasciasse intravvedere una mia aspirazione alla vita missionaria"(11.1.1922).

Fu ordinato Sacerdote dal Fondatore, Mons.Conforti, nel febbraio del 1927, e nel successivo mese di aprile partì per la Cina, allora già teatro della guerra civile, assieme al P.Pietro Garberò.

Il P.Popoli così lo presentava ai nuovi Superiori della Cina: "E' di carattere piuttosto forte; ha buona intelligenza, sopratutto per la meccanica nella quale riesce assai bene. E' di buona pietà e tenace nei propositi.Ha dovuto lottare molto per la vocazione, avendo tanti ostacoli in famiglia: Con la grazia di Dio tutto si è risolto con una vittoria. Ha salute forte e viene animato dai migliori propositi e da grande zelo apostolica. E' disposto a tutto soffrire."

Durante il viaggio egli tenne una fitta corrispondenza con Parma, per cui è possibile ricostruire tutto l'itinerario. A Singapore venne a sapere che Honanfu era caduta nelle mani del generale Feng-yu-hsiang, il cosidetto generale cristiano.

A Hong-Kong i missionari di quella missione non mancarono di esprimere il loro stupore nel vedere arrivare i nuovi padri. Alla Procura dei Lazzaristi di Shanghai - già piena di missionari rifugiati - si consigliò loro addirittura il ritorno in Italia. Tutto questo non riuscì ad impressionare il P. Morandi il quale scriveva: "Sono cose un po' croniche per la nostra Missione. Queste ed ulteriori notizie cui sarebbe inutile accennare, senza ulteriore conferma, ci fanno riflettere e sorridere per certe magnifiche sortite di prudenza: tornare... fermarci.... e via dicendo... Nel mio cuore c'è la massima tranquillità e decisione di raggiungere i nostri fratelli (16.5.'27).

Fu deciso di partire per Tientsin via mare, perché le ferrovie erano interrotte a causa della guerra e di recarsi da là a Pechino, ove erano già rifugiati alcuni dei nostri arrivati dal Honan. I due missionari arrivarono a Pechino verso la fine di giugno 1927.

Anche là non era possibile avere notizie dirette ed attendibili della nostra missione. I due andavano spesso alla Delegazione Apostolica per sentire se c'era qualcosa di nuovo, ma sempre inutilmente. Finalmente non si sa come, arrivò una lettera da Chengchow in cui si diceva che i nostri avevano avuto salva la vita perché non erano nè americani, nè inglesi, nè giapponesi. Si diceva che il grosso della bufera sembrava passato, per cui i più anziani, con la dovuta cautela e prudenza, potevano tentare la via del ritorno. Partirono in quattro senza P. Morandi. Egli si sentì ribollire il sangue nelle vene. Non trovando tra i giovani nessuno disposto ad unirsi a lui, un bel mattino partì da solo con la sua bicicletta.

Come abbia fatto a percorrere tutta quella strada da solo e con una conoscenza più che scarsa della lingua cinese, lo sappiamo da una sua lettera al Fondatore datata 30.8.1927. La scrisse da San-chow, prima residenza saveriana da lui incontrata. Dopo avere espresso i suoi sentimenti filiali, continua:
" ....Ora non posso trattenere la penna ed il cuore dall'esprimerLe tutta la mia gioia per avere raggiunta la Missione e nello stesso tempo d a rgliene notizia... Sono in casa nostra. Qui c'è F:.Brambilla.
Sono arrivato ieri. Da Pechùno sono partito il giorno 16 agosto. Sono partito confidando nel mio Angelo custode ed in Maria Santissima. Avevo speranza di raggiungere gli altri quattro padri partiti quindici giorni prima. Non avendo potuto, ho deviato per il Shansi e, passando per Tai-yuen-fu sono giunto al Sud, alla sponda del Fiume Giallo che divide lo Shansi dal Honan e precisamente dove sulla sponda opposta avrei subito trovato questa nostra residenza.
Le ragioni della mia partenza da Pechino, in un modo che potrebbe avere dell'originale, sono molte, in parte personali, in parte locali... La prima parte del viaggio, circa cinquecento chilometri, l'ho potuta fare in treno; la seconda l'ho fatta in bicicletta che espressamente m'ero portata con me. F. precisamente da Tai-yuen-fu a qui, salvo un ultimo tratto che per consiglio del missionario del luogo ho fatto in carro cinese, cosa di cui non ho avuto altro che pentirmi, perché per metà ho dovuto farla a piedi.
Tutte le notti ho riposato in residenze, tranne l'ultima, perché ho usato il carro, però a1 mattino seguente ho potuto celebrare perché passato il fiume più presto che ho potuto, raggiunsi la chiesa di qui. La seconda parte del viaggio sono un millecento ly e cioè circa seicento chilometri.
Durante il viaggio nessun incidente degno di nota. Qualche momento di fatica, ecco tutto. Ovunque lungo il viaggio ho trovato il massimo di cordialità. La prima sera fui ospite di sacerdoti cinesi. Benché giunto tardi ed infangato, fui accolto con ogni premura. Presso i medesimi avevano pure sostato i padri partiti prima di me. Il 18 partii per Tai-yuen-fu ed alla sera ero ospite di Mons.Fiorentini dei Minori. Colà mi fermai cinque giorni.
Naturalmente ne approfittai per visitare i luoghi consacrati dai martiri del 1900. Nella mia mente e nel mio cuore fu un tumulto di cose indescrivibili. Il carcere, il luogo del massacro, i resti gloriosi benchè incogniti, tutto si raggruppava all'idea dei due primi figli Vostri inviati in questa gloriosa regione che ora gode la pace, per il sangue versato da tanti generasi figli della Chiesa.
Tutto il resto del mio percorso in questa regione era seminato di ricordi - stele - a detestare quelle crudeltà, ma nello stesso tempo a testificare quale sia la vera forza della Chiesa e dei suoi figli. A Tai-yuen-fu ho potuto parlar e anche con un vecchio padre cinese: il padre Suen che assieme al P. Caio Rastelli era fuggito sui monti della Manciuria.
Io non Le posso riprodurre l'atteggiamento di quel padre, infermo e giacente in letto, quando parlava del P.Rastelli. La riverenza, il rispetto e le espressioni più forti erano per P. Rastelli di cui serba graditissima memoria. Eccole alcune espressioni che ho scritto mentre parlava: “P. Caius erat humilis, ingeniosus, virtuosus" e faceva con la mano un segno che in cinese indica il non plus ultra. "Pater Caius erat optimus, erat humilis virtosusque", quasi si struggeva per non potersi esprimere e farmi intendere nella sua lingua. Certo ciò che voleva dire, più lo diceva con 1'espressione del volto che con le parole.
Volentieri avrei visitato il luogo della morte del P. Rastelli, ma la necessità di un po' di riposo ed il desiderio di mettermi in via me lo impedirono. Possa io avere raccolto un po' del suo spirito per l'apostolato che pure in condizioni difficili sto per intraprendere, almeno come preparazione prossima.
La via che dovevo percorrere, lasciando Tai-yuen-fu, è una grande via per la Cina, sulla quale fa servizio per il pubblico anche qualche auto. Veramente non è un'opera di gran pregio, benchè sia priva di scabrosità e priva di difficili ascese. Questa strada è lunga più di cinquecento chilometri, per molti tratti tra loess di terra friabile e senza consistenza.
La via è seminata da residenze, tutte con padri. A1 sud ci sono i missionari olandesi -francescani-. Lungo la via ho trovato un mercante cristiano al quale ero stato raccomandato, e questi mi ha aiutato a passare i1 Fiume Giallo, anzi mi ha accompagnato fino alla residenza. Ora non mi resta che raggiungere Chengchow. Spero di esservi domenica prossima. La ferrovia da qui funziona. Farò tappa a Honanfu ove ora si trova il P.Vanzin. Le condizioni politiche sono poco chiare. In ventiquattro ore qui i soldati sano già venuti diverse volte per chiedere la residenza, dato che arrivano sem- (qui evidentemente manca un rigo) città. Non ci si capisce. gran che, per non dire niente...." (30.8.'27)

.Conserviamo anche la risposta di Mons.Conforti e le delicatissime osservazioni in essa contenute: "Ho appresa la conclusione del suo ardim e n -toso viaggio da Pechino a Chengchow ed ho ammirato il suo coraggio, per non dire la sua audacia. Il Signore L'ha visibilmente protetto ed io a Lei mi unisco nel ringraziarlo di cuore. Penso che il P. Rastelli, di santa memoria, che tanto amò la nostra Religiosa Famiglia, avrà pregato per Lei... Non le nascondo però che sarebbe stato meglio rimettersi al consiglio di persone prudenti e non avventurarsi all'incognito, cosa sempre pericolosa, per tante ragioni e da non consigliarsi. Ci rifletta sopra a mente calma e serena, e dovrà convincersi della ragionevolezza di quanto Le dico..." (28.2.1928)

Prime attività apostoliche.

Pochi mesi dopo, come appare da una sua lettera al P. Popoli, lo troviamo a Hsu-chow da dove scrive: "...Ieri ed oggi ho fatto il mio primo passo nel campo dell'apostolato. Ho confessato ed estremato tre persone. Si pcotes se in questo povero distretto ripiantare un po' di vita! ".(26.2.28)

Per avere altre notizie dirette dobbiamo passare ad una lettere del maggio 1932. In essa dice: "...Novità poche e non molto piacevoli. La situazione si rannuvola a vista d'occhio,. L e società segrete pullulano e non lasciano certo sperare molto bene per la nostra opera, essendo sempre a base di fanatismo pagano con scopi politici... Le opere di propaganda hanno non poco sofferto a causa della situazione, benché dalla stessa si siano avuti buoni frutti che, con la grazia del Signore, potranno dare molto in seguito quando uno più esperto di me prenderà la direzione di questo distretto"(Yen-she, 27..2.32).

L'anno dopo, dalla stessa località, scriveva al superiore religioso: "So e riconosco di essere un poco tagliato grosso modo: questo per 1'esterno. In quanto all'interno sa il Signore se desidererei essere qualcosa di meglio. Creda pure però che con queste poche righe io non cerco una scuso a me stesso. Delle pronesse gliene potrei fare, ma ne faccio tante a nostro Signore per essere sempre da capo, per cui non oso molto in questo campo...(27.2.33)

Riferendosi a questo tempo, il P. Sinibaldi ricorda: "Io fui per quattro mesi circa suo cappellano e posso dire che se fu missionario intraprendente perché mise mano alla costruzione delle residenze di Yenshe e Teng-fong (casa dei Padri., catecumenati, reparti femminili, scuolette, ambulatori), non fu da meno come missionario attendendo alla cura dei cristiani e dei catecumeni. In quel periodo la città di Yenshe fu inondata delle acque del fiume Luo che circonda quasi interamente la città e che era straripato. A1lora si rivelò la capacità organizzativa e la carità del P.Morandi. Seppe che alle autorità locali mancavano i mezzi per fare fronte a tanto disastro e chiese al mandarino di potersene interessare. Andò alla direzione delle ferrovie e si fece prestare quattro o cinque grandi pompe, fece fare alcuni canali. di scolo ed insegnò ad un gruppo di cinesi a fare funzionare le pompe stesse. Nel giro di una decina di giorni la città era prosciugata.

Qualche mese dopo, durante la primavera, venne il colera. Le autorità locali gli chiesero il suo aiuto. Egli organizzò alcuni centri per la vaccinazione anticolerica ed io fui testimone dei vari viaggi che dovette fare onde procurarsi il vaccino necessario. In seguito a queste opere, le autorità di Yenshe, per riconoscenza, gli eressero una stele alla porta della città più vicina alla chiesa cattolica.

Dopo avere fatto un corso speciale per la cura del tracoma, allora molto diffuso nel Ho-nan, aprì un dispensario oculistico che fu sempre affollato. A volte lo si sentiva urlare contro qualcuno che non si era presentato in tempo per le cure con pericolo di non guarire più. La gente tremava, ma sapeva di essere amata e andava da lui, tradito dal suo buon cuore".(6.3.74)

Nel 1935 da Wang-k'o scrisse al P.Eugenio Pelerzi, anni prima pioniere nelle terre del Loyang: "Mi trovo qui per completare la piccola residenza onde possa ricevere un padre o due... Per la costruzione e la disposizione, sarà una piccola fortezza; piccola sì, ma la migliore del posto.Quello però che è migliore si è che la cristianità promette molto bene e più che promettere è già ben avviata..."(12.4.33)
Due anni dopo è a Teng-fong :"Oggi,ottavo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, ho battezzato sette famiglie, di cui sei della città. Battezzati, ventinove. Non è un portento, ben lo vedo anch'io. Ho cominciato a tenere il SS.mo ed ho data la benedizione. Con 1'altare sono ancora al tipo baracca, ma prima che la suora rientri a Yenshe spero di battezzare altre tre o quattro famiglie, più alcuni isolati per completare gruppi familiari incompleti".(24.2.1935)

Quando in quello stesso anno 1935 la Prefettura Apostolica di Loyang fu eretta in Vicariato Apostolico, il compianto P. Mario Frassineti si era impegnato a fare conoscere "Opere ed Operai" della nuova nascente Missione. Ecco come presentò F.Morandi: "Fisicamente un bufalo, apostolicamente un precursore; spiritualmente una rarità. Non ammette confini alle sue possibilità; si direbbe anzi che abbia la mania dell'impossibile. Se volessi rivelare certi suoi riposti sentimenti (non lo faccio per non perdere la sua amicizia), molti che di lui vedono solo la scorza esteriore, rimarrebbero assai sorpresi. Figlio della terra mantovana, ha di quella terra la ben nota fertilità e la feconda bontà. E' qui a Teng^fong da poco tempo e quanto c'è di nostro è stato fatto da lui: la casetta che è un gioiello, la scuola, la chiesetta e lo scheletro di altre opere che aspettano il bel tempo e la Divina Provvidenza per andare avanti. Ha cominciato a Yenshe col dimostrare che sapeva costruire una casa... Essendoci riuscito con onore e poca spesa, preso da profonda commozione interiore, è andato a costruire la casetta bianca come 1a neve, stretta fra le braccia di una gola profonda e silenziosa, nella purezza della più integrale campagna, nella "gola del re" (Wang-K'o). Non pensate però che avesse intenzione di costruirsi un romitaggio per sé !
E' in gran parte frutto delle sue sacrificate giornate, se il vecchio distretto di Yenshe, che egli prima curava da solo, ora può ospitare convenientemente tre missionari che presto diverranno sei! "

Per quanto riguarda il suo stile, abbiamo questo descrizione fatta dal P.Achille Morazzoni: "Severo con se stesso, esigeva una seria e lunga preparazione per i catecumeni prima di ammetterli al battesimo. Li curava uno ad uno ed era instancabile nel visitarli nelle loro case anche a costo di disagi e di grandi sacrifici. Si immedesimava delle necessità di tutta la popolazione del suo distretto e procurava viveri e medicinali per chiunque ricorresse a lui..."(27.2.74)

Intermezzo in Italia

Nell'estate del 1936 lo troviamo in Italia. Particolari ragioni di famiglia lo avevano indotto a chiedere ai superiori un anno di assenza dalla missione. In realtà, poi, tale periodo si prolungò per tre anni. Fu propagandista, confessore, ed anche insegnante. Chi scrive ricorda una sua giornata di propaganda missionaria tenuta nel suo seminario. L'impressione che egli lasciò fu enorme e servì forse a stimolare alcuni a passare dal seminario agli istituti missionari. In quell'anno ne partirono quattro per diversi istituti.

Nel mese di agosto del 1939 egli venne a sapere che si pensava di nominarlo pro-rettore di una casa d'Italia. Egli mandò questo appello al Superiore Generale: "... Io tomai dalla Cina col vostro consenso, per un anno d i tempo. Questo anno si avvia al terzo. A parte i diversi prolungamenti da voi indicatimi nella vostra lettera, ora mi dite che devo rimanere in Italia e che mi comunicherete la mia partenza quando lo crederete opportuno. A voce mi avevate detto che nel vostro pensiero vi era di nominarmi pro4rettore di una casa filiale. Tutto quanto mi allontana dal mio ritorno in Cina mi diventa, di istinto, avverso ed odioso. Questa è la mia attuale disposizione. Vi scongiuro di non spezzare questa leva che è nelle vostre mani. Non lasciatela arrugginire. (9.8.1939)

Pochi giorni dopo riceveva 1a notizia che sarebbe ripartito per la Cina e scriveva al Superiore Generale. "...La vostra bontà ed il segnalato favore di farmi ritornare sul campo del lavoro, domandano da me maggiore vigilanza ed applicazione in tutte le cose che servono ad ottenere dal Signore le grazie necea sarie perché ogni attività sia veramente profittevole all'apostolato" (25.8.39)

Ritorno in Cina

Ripartì per la Cina con la nave "Conte Biancamano" alla fine del 1939. In Cina era già in atto la guerra e l'invasione giapponese. Quando P. Morandi sbarcò a Tientsin verso la fine di gennaio, ebbe l'impressione che le cose non fossero così gravi come esse in realtà erano. Egli scrisse: "La situazione generale è buona. Vi sono dei segni che lasciano intravvedere possibilità d'intesa fra le due parti. Toccherà, però, ai cinesi mollare. Le voci di esaurimento dei giapponesi sono chiacchiere e pii desideri. Le missioni che stanno veramente male sono quelle dove operano i rossi: Sono tra due serie di rappresaglie. Corre voce, o meglio è notizia certa, che P. Lebbe sia stato preso dai rossi e non so sa se egli sia in vita. Un prete cinese, preso con lui, pare che sia stato subito fucilato... Una cosa che molti non vogliono capire è che noi siamo tutti catalogati e controllati, di modo che è sempre possibile far pagare agli interessati dei conti che sono rimasti sospesi in antecedenza... Qui siamo un po' in apprensione per le notizie di costà, dato che la situazione non si schiarisce certo. Sul giornale di oggi vi è da fonte inglese che la Germania domani prenderà la Svezia e che l'Italia entrerà in guerra il 10 del prossimo mese..."(26.1.40)

All'inizio del '41 scrive: "Eccoci ad un anno nuovo che il Signore mette a nostra disposizione. Qualunque cosa succeda, evidentemente sarà quale lo vorremo noi, almeno per ciò che riguarda le anime nostre. Mentre lo augurro buono per voi, questo augurio lo faccio pure a me e di tutto cuore..." ( Al Sup. Gen. - 4.1.41)

Il mese successivo scriveva: "Dalle missioni non ci sono buone notizie, molte bombe ovunque': Juchow, Hsuchow, Chengchow, Loyang. Mi dicono che l'azione sia terminata. Non so nulla di positivo. P.Castelli ha avuto dei danni e lui ha avuto qualche ferraccio alle orecchie, con danno al basco..."

P.Morandi rimase nel nord della Cina per circa tre anni e mezzo, dapprima a Tientsin, dove per qualche tempo fu Procuratore delle nostre due missioni, poi a Pechino senza un incarico particolare in attesa di potere rientrare nel Honan. Qui egli visse alla Domus Studiorum, sita in Tsiang-yang-fang hung-tung, poi quando la casa degli studi fu affittata ai Padri Canadesi di Scarborough visse assieme al P.Vaccari in quello che fu il Noviziato, un bel terreno sito a due chilometri dalla porta dell'ovest, di fronte al giardino zoologico della città. Prima del suo rientro nel Honan visse per alcuni mesi presso la Cappellania dell'Ambasciata d'Italia. Durante tutto questo tempo egli naturalmente cercava di raccogliere notizie sulla sorte dei nostri confratelli in missione, notizie che egli poi trasmise fin che fu possibile ai Superiori.
Da un suo biglietto del 1945, risulta che già nel dicembre 1944 egli era nel suo antico distretto di Yenshe, assieme ad un padre cinese.

Due anni dopo scrive da Teng-fong: "...Dopo il ritorno del Vescovo e dei Padri sono venuto qui un po' per sgranchire le gambe ed un po' per rivedere il vecchio posto. Questa mia è la prima che le scrivo. Ho atteso di rientrare a Ling-Pao. A suo tempo avrò da fare una lunga relazione su diverse cose degli anni passati ma per ora è impossibile, mancando il tempo e la necessaria tranquillità..." (18.9.47)

L'anno dopo scrive da Ling-Pao: "...Ho ricevuto notizie da Loyang e, se pur mancano i particolari, la loro situazione non è estrema. Sì proteggono bene con l'ospedale e con l'ambulatorio in città. Adesso qui, dopo che fu preso Louche c'è una punta dal sud, ma non ci sono idee bellicose. Del resto non ci sono soldati. La popolazione, però, è molto sossopra, perché temono un saldo dello scorso anno, dato che in questo Hsien si rivoltarono e cacciarono i rossi facendo raccolta d'anni. Questo però serve a tenere in rispetto anche gli altri: fino a quando è difficile dire..." ( Festa del Corpus Domini `46)

Alla fine dello stesso anno scriveva, sempre da Ling-Pao: "...lo sono sempre qui solo, senza speranza di avere almeno un viciniore. Non è certo il 1avoro che mi ammazza. L'ambulatorio è cosa limitata. La situazione, per ora, non è grave, ma ci sono sempre i colpi di mano e una volta o 1'altra diventeranno padroni della situazione. Se verranno i rossi, entrerò anch'io nella cerchia... Mi si stringe il cuore al pensiero di lasciare questi amati luoghi, ma non vedo altra soluzione. Poi sarà quello che il Buon Dio vuole..."(29.11.48)
Qualche mese dopo commentava così la situazione: " ...E` un fatto che l'ora che attraversiamo è piena di incognite ed oltremodo dolorosa. E' un piano sistematico che si attua e non vale la pena farsi delle illusioni"...(23.3.49)
Se uno fosse stato tentato di averle, le scene quotidiane gliele avrebbero fatte passare. "L'esodo è pietoso. In quattro ore ha visto arrivare a Ling-Pao più di venti carri di persone. Il treno era gremito di honanesi..."(9.4.49)

L'espulsione

In questo ultimo periodo si trovava con lui anche il P. Sguazzi. Sappiamo dal diario di quest'ultimo che Ling-Pao fu occupata dai comunisti il 12 giugno di quell'anno. Come accadeva per le altre località occupate, i primi mesi passarono in una apparente tranquillità: una calma che durò solo alcuni mesi.

Nel seguente mese di febbraio 1950, i due padri vennero convocati dalla polizia e ricevettero l'ordine di non uscire e di non fare propaganda. Erano le prime avvisagli del temporale. Nel successivo mese di giugno ci fu un primo arresto di tre ore alla polizia; volevano sapere i nomi dei cristiani.

Su quello che avvenne dopo, possiamo rileggere quanto scrive il P. Garbero: "A Linpao il gioco del gatto che va in visibilio quando può seviziare, prima di mangiarselo, il topo stretto tra le sue unghie, non riuscì, anche perche' uno dei due 'topi' caduti in trappola aveva le unghie abbastanza aguzze per difendersi!
I PP. Morandi e Sguazzi furono arrestati (di nuovo) verso la fine del febhraio 1951 perché il primo aveva presunto di allontanarsi per parecchi giorni senza il permesso della polizia. Mentre erano in prigione, in attesa del processo, P.Morandi udì uno dei quattro prigionieri che si trovavano con lui nella stessa cella, bisbigliare agli altri tre: "uno che se ne intende mi ha consigliato di non mangiare tutto il pane che mi sarà dato e dire che voglio risparmiare per il popolo lavoratore... in questo modo si potrà avere più compassione di me".

P.Morandi, naturalmente ritenne quel consiglio troppo blando ed ingenuo per essere efficace, perciò gli venne in mente di perfezionarlo. Rivolto al P. Sguazzi gli disse: "Dato che la colpa è mia, tu non fare lo stupido e mangia anche la mia parte, se la tua non ti basta. Io voglio rendermi benemerito del popolo e mi rifiuterò di mangiare e di bere..." L'interessante è che P.Morandi mantenne la promessa, anche se la fame durante la notte gli faceva sognare di stare mangiando, tanto essa gli attanagliava le viscere.
Dopo, qualche giorno cominciò a dimagrire a vista d'occhio. Sentiva crampi allo stomaco e conati di vomito impressionanti, ma teneva duro, ragion per cui i giudici pensarono di affrettare il processo, per non correre il rischio di essere poi accusati di aver fatto morire di fame un missionario. Per scongiurare anzi questo pericolo, lo fecero trasferire alla missione di Shanchow.

Il 12 marzo successivo ricevette la sentenza che lo condannava all'espulsione dalla Cina ed autorizzava il P.Sguazzi a continuare a curare occhi al popolo bisognoso. Come ammenda P.Morandi doveva pagarsi il viaggio, e sborsare la spesa necessaria per la pubblicazione della sentenza sul giomale.

P.Morandi attribuì la speditezza del processo ed il trattamento di preferenza avuto durante il suo corso, non solo alla sua passione per il digiuno, ma anche al fatto che ritengo opportuno riferire.
Alcuni mesi prima, durante una grande perquisizione alla sua residenza, da uno dei soldati perquisitori partì un colpo di fucile che andò a colpire. il muro all'altezza della testa del P. Sguazzi.

Si convenne che si trattava di una causalità. Ma poi il P. Morandi, temendo che la cosa fosse ritorta in sua accusa, chiese al capo della polizia che venisse redatto un verbale scritto. Quando si accorse che la cosa forniva un pretesto per ingarbugliare le carte,pensò di rivolgersi od una autorità superiore. Scrisse una lettera in francese a Chiu-en-lai, allora ministro degli esteri del governo comunista, esponendo il caso e chiedendo il permesso di recarsi a Pechino.

Qualche tempo dopo ebbe di ritorno la :icevuta della 'doppia raccomandata' e, dopo qualche giorno ancora, arrivo una specie di ispettore che provocò non poco fermento tra la polizia locale. Alla domanda perché avesse scritto, P. Morandi rispose: "E' forse un delitto scrivere ai superiori?" Alla altra domanda relativa al contenuto della lettera, si limitò a dire: "Chiedetelo al destinatario". (Garbero, I Saveriani in Cina, pagg.318-19).

Dalla Cina al Brasile

Fu, dunque, espulso dalla sua Cina e dovette fare ritorno in Italia. Stette in famiglia per qualche mesa, poi alla fine di quel 1951 si recò a Roma ove si iscrisse al corso di medicina per missionari organizzato del Sovrano Ordine di Malta. Rimase a Roma fina al mese di giugno del 1952, quando si recò a Policastro Bussentino ove il comune aveva donato all'Istituto un piccolo appezzamento di terreno sulla spiaggia. Su quel terreno egli costruì una casetta: sarebbe servita per eventuali cure marine. In pratica essa fu la sua residenza per tutti gli anni che passò in Italia. A quell'epoca però si sentiva ancora giovane e pieno di energia e chiese di potere andare a fare del bene in Brasile. Venne accontentato e nel giugno dei 1955 partì per quella nazione.

Ci è difficile seguire le diverse tappe della sua permanenze in Brasile e specificare le sue attività. Fu per oltre un anno a S.Inazio, per un anno e mezzo a S. Francesco Saverio, per un anno a Centenario, per quasi quattro anni a Londrina. Nel 1963 lo troviamo in Amazzonia.

Nel 1957 scriveva da S.Inazio:"...Domenica scorsa sono terminate le Missioni, con buon frutto: ed anche questo mi ha aiutato. Ora davanti alla chiesa troneggia una croce maestosa di dodici metri di altezza. Per la prima volta in vita mia sono andato alla processione a piedi scalzi (ma tenevo in mcno i sandali per il caso di emergenza).Per fortuna le strade di qui sono terrose e non sassose! ..." (12.4.57)

Durante il periodo della sua permanenza a Londrina egli si preoccupòdi aiutare i confratelli dell'Amazzonia impegnandosi a trovare per loro un aeroplano ed anche...un pilota provvisorio. Per l'aereo si sarebbe servito delle sue conoscenze, per il pilota si sarebbe servito di ...se stesso.
Per questo si iscrisse ad un corso di pilotaggio ed ottenne il brevettodi pilota. Il 27 marzo 1961 scriveva al Superiore Generale: "Ho fatto il primo volo da solo. Ho ricevuto il battesimo di olio. Ho fatto il primo volo di andata e ritorno Londrina - Rio de Janeiro... Ho la possibilità di un corso supplementare per elicottero... Il mio brevetto dà diritto a portare passeggeri, non a pagamento. Sotto a chi ha coraggio! Quando verrà per la futura visita spero di esserle utile, sempre ché...! " I1 P. Castelli gli rispondeva scherzosamente: "Per i suoi voli,...auguri! Si ricordi solo di venire giù in buon ordine, perché il venire giù mi pare che sia molto più difficile e più importante che l'andar su... Quando verrò, faremo i conti per bene e vedrò se sia il caso di affidarle la mia pellaccia: mica che ci tenga gran che, ma sa: fare un altro capitolo costa parecchio! "(2.5.61)
Da una lettera scritta qualche anno dopo, possiamo ricavare una breve nota autobiografica che si riferisce a questo periodo. "Non è mai stato di mio gusto la vetrina, e tanto meno lo è adesso, ma i giornali brasiliani hanno riportato a suo tempo che il primo documento firmato in Brasilia fu il permesso dato ad un certo missionario italiano, P.Giovanni Morandi, dì fare il corso di pilotaggio.
A cinquantotto anni ho preso il brevetto (N.9326) fra le risate ed i fischi degli altri: ho vinto contrattempi e difficoltà; ho ottenuto dal governo l'apparecchio per la Prelazia; questo apparecchio ha fatto il viaggio fino alla Amazzonia in condizioni tali che il volo di "Grazia" (l'apparecchio donato alla missione di Uvira) farebbe ridere..."

In questo periodo però la sua salute cominciò a dare segni di cedimento e si manifestarono i primi disturbi del suo male. Una Saveriana ricorda: "Per la festa di S. Francesco Saverio del '63 egli venne in cucina a vedere che cosa avevamo preparato. C'era ben poca cosa in casa. Ci assicurò che avrebbe pensato lui per la carne. Uscì infatti con il suo fucile e ritornò dopo qualche ora con dei grossi uccelli presi nella foresta. Voleva che i confratelli sentissero più gioiosa quella festa. All'ora del pranzo, egli non si presentò. Non si sentiva bene. Era una delle prime volte che non prendeva parte alla mensa comune in una festa che gli era così cara".

Le informazioni sulle sue condizioni giunsero anche alla Direzione Ge nerale ed il Superiore Generale con lettera del 7 agosto 1964 gli ordinò di rientrare in Italia.

Dopo la sua partenza dall' Amazzonia, un giornale locale riportava questo trafiletto su P.Morandi: "P.Giovanni Morandi, ora in Italia, fu fino a poco tempo fa, parroco di Abaeté. Nel mese di giugno 1964, una sera, infastidito dal frastuono degli altoparlanti installati su un albero presso la sua residenza in occasione di una festa danzante, sparò col fucile fino a che li ridusse al silenzio. Da quel fatto gli venne il nomignolo di "Padre Chumbino" (padre piombino), pur continuando a godere della reale stima dei suoi parrocchiani.

Un'altra volta si trovava nell'Aero Club di Guajarà in attesa di qualche apparecchio privato che gli desse un passaggio per Abaetè. Dopo una certa attesa arrivò il proprietario di un apparecchio che stava per prendere il volo per Cametà. Dato che la rotta era la stessa, P.Morandi gli chiese un passaggio, ma quegli rifiutò di darglielo adducendo come ragione che, se avesse dovuto fermarsi ad Abaetè, non sarebbe arrivato a destinazione prima del calar del solé. P.Giovanni insistette: "Aiutami e Dio ti aiuterà", ma il pilota dimostrò di non entrare in quella...litania!
Padre "Piombino" si sedette su una panca sconsolato per dovere perdere l'ultima occasione di prendere il volo in quel giorno. Mà...ecco il miracolo! Non ci fu verso di mettere in azione il motore. Fuori, il pilota si arrabattava come poteva: dalla sala il P.Morandi gridava: "Vuole che venga a spingere?" Il pilota, già gonfio di rabbia, aprì la porta e gli disse: "Padre, entri e vediamo se Dio ci aiuta veramente"'. Il padre entrò ed il motore non tardò a rombare".


Il cuor ch'egli ebbe

Volendo dare, a questo punto, una sguardo retrospettivo alla sua vita, possiamo leggere le testimonianze di tre confratelli.
P.Eugenio Morazzoni scrive."Aveva un cuore d'oro ed una fede salda e profonda. Amava la sua vocazione, amava la congregazione e venerava Monsignor Conforti. L'amor di Dio e quello per la sua vocazione missionaria lo inclinavamo verso i poveri, i bisognosi, gli abbandonati, gli ammalati.

In missione, potendo disporre di abbondanti offerte da amici e parenti, ne gioiva perché ciò gli permetteva di espandere la sua carità. Nella visita alle cristianità era sempre accompagnato dal catechista che caricava di pacch: vestiti, farina, fagioli, medicine, ecc. per la sua gente. E cercava di farsi burbero quando i suoi beneficati volevano ringraziarlo. Forse portò più anime a Dio con la carità che con la predicazione. Visse povero senza ostentazione". (12.2.74)

Da parte sua, il P.Garbero aggiunge. "Ho avuto P.Morandi come compagno di scuola, di ordinazione, di viaggio da Parma a Venezia, Shanghai,Tientsin, Pechino. Per parecchi anni compagni di apostolato in Cinai se pure in diocesi diverse (Chengchow-Loyang) ci siamo sempre voluti bene nonostante il diverso carattere. Nelle discussioni era franco, ma sincero e retto nelle intenzioni. Se non era proprio sicuro della sua posizione, se la cavava con un "basta...vedremo". Se invece era persuaso di avere ragione, all'interlocutore conveniva battere in ritirata per risparmiare tempo e fiato. Da alcuni lo si chiamava "1' orso" in fatto di...complimenti, nel fare i quali però era genuino e gentile. Odiava l'adulazione tanto per se che per gli altri.
A prima vista poteva essere preso per un avaro, invece non lo era; cercava di essere provvisto anche di buone cosette, ma solo per fare festa ai confratelli che lo visitassero. Ad uno di questi che, al suo arrivo in missione gli sembrava deboluccio portò in camera alcuni barattoli di latte condensato con un "prendilo, ti farà bene". In prossimità della partenza per la Cina, avendo potuto farsi un corredo bello e svariato e vedendo che io invece avevo raccolto pochino, aprì le sue valigie e mi distribuì quanto calzava per me e mi serviva. Altrettanto attento e generoso fu nei 60 giorni del nostro viaggio.
Di fede semplice e sicura, amava il decoro nel culto e celebrava devotamente e senza fretta. Una volta, a Yenshe, fu catturato dai briganti, e portato via come ostaggio. Dopo solo trentasei ore, al vescovo Mons. Calza che si era messo subito sulle sue tracce per liberarlo, P.Morandi si presentò libero. I briganti gli avevano restituito la bicicletta, l'orologio (cosa assai rara) e quanto gli avevano tolto. "Come mai?"- "Molto semplicemente" rispose, "Ho fatto voto di tre sante messe in onore di S.Teresa del Bambino Gesù ed...eccomi qui".
Qualche mese prima della sua fine, trovandomi io a Parma, venne a salutarmi. Vedendolo in uno stato già tanto compassionevole e pensando al prossimo futuro, mi sentii male ed egli se ne accorse. "Non ti senti bene"?
"Tu sai che soffro di cuore::.sai pure che ti voglio tanto bene, ma ti Prego di scusarmi se mi farò vedere poco..."
"Capisco. Incontriamoci nella preghiera". Da allora non ci siamo più visti, ma lui non lasciava passare occpsione per mandarmi il suo saluto ed il suo ricordo. Ciò che facevo anch'io con pena sempre maggiore".

Ed infine leggiamo quanto scrisse il P.Giovanni Castelli, ex Sup. Generale. "Figlio genuino della terra mantovana, fu come un blocco di marmo, mal squadrato in qualche angolo, ma sempre un blocco di marmo. Gran cacciatore al cospetto di Dio nella sua vita missionaria in Cina e Brasile ed in Italia, mirò sempre allo scopo, alla sostanza. Ne forme, nè fronzoli lo disturbarono mai. Ne ebbe dispiaceri e malintesi non pochi, ma il blocco di marmo, fondamento della sua vocazione missionaria e sacerdotale non ne fu mai scosso anche se davanti a sconfinamenti di questi ultimi anni non mancò talvolta qualche amaro commento comprensibile in una persona in cui la sostanza era tutto e vedeva attorno a sè che troppo spesso non solo le forme, ma anche la sostanza era esposta a surrogati e compromessi.
E quando ebbe qualcosa da dire, lo disse chiaro e senza sottintesi. Sono stato suo superiore generale per dieci anni e so cosa dico.
Eppure entro questa ruvida scorza c'era un cuore capace di affetto e di delicatezza sconosciuti ai più ed inspiegabili per chi non lo conosceva a fondo.
Ricorderò due piccoli, sventi egisodi personali. Nel 1971 ero ricoverato in una clinica presso Roma. Una sera me lo vidi arrivare in motocicletta da Policastro. Veniva a vedermi di passaggio. In mancanza di camere libere, le suore misero una branda in camera mia'. Dopo una bella chiacchierato ci addonnentammo. Al mattino, quando mi svegliai, P.Morandi non c'era più. L'infermiere mi disse: "Il padre è partito molto presto, ma mi ha detto di salutarla e di dirle che le ha dato un bacio prima di partire, ma che non ha voluto svegliarla".
Un anno dopo, l'ultimo incontro nel refettorio di Parma. Feci il gesto di abbrac ciarlo, ma egli si tirò bruscamente indietro. Ci rimasi un po' male. Poco tempo dopo me lo vidi arrivare in camera: "Ecco, se adesso vuoi abbracciarmi, fa pure, però sulla guancia destra, non sulla sinistra. Lo feci e per la prima volta notai sulla guancia sinistra i segni del tremendo male che lo ha portato alla morte.
Il Buon Dio che vede nei cuori deve avere un gran bel posto per questo missionario "fisicamente un bufalo, spiritualmente una rarità".

Gli ultimi anni

Rientrò in Italia circa il mezzo ottobre del 1964. Come la volta precedente, rimase un po' in famiglia poi si trasferì a Policastro dove trascorse gli anni successivi, fino all'autunno del 1973.
Il male per il quale aveva dovuto ritornare in Italia si stava mostrando in tutta la sua gravità. Egli ne era pienamente informato, anzi ne infornava lui stesso il Superiore Generale: "Vuoi, non vuoi; girala e rigirala, siamo alla solita. Operazione. La motivazione è: 'Grossa ulcera callosa notevolmente estesa in superficie, con notevoli fatti gastrici concomitanti'... Se avessi quarant'anni non esiterei un minuto, ma da un ferro vecchio e logoro cosa può saltare fuori? Il 20 per cento un po' meglio il 30 p/c come prima ed il 50 p/c un peggioramento..." (17.11.65)

Nonostante queste previsioni pessimistiche, nel dicembre del 1966 si sottomise all'operazione che venne tentata a Bologna. I medici trovarono un linfosarcoma molto diffuso e non poterono fare nulla. Non rimase loro che richiudere il taglio. Uscì dall'ospedale e si rimise anche in forze apparentemente guarito, tanto che ripetutamente chiese di andare a Formosa. Egli attribuì la sua guarigione a santa Filomena. Rimase a Policastro, girò più volte in moto, ebbe qualche incidente, riprese l'attività di prima.
Alla fine del 1972 si manifestò una infezione alla base del naso a cui non dette peso e che cercò di curare da solo. Quella che sembrava una cosa da nulla, finì col diventare la grave malattia che lo condusse alla tomba.
Venne visitato a Parma ed a Roma, quando il male era troppo avanzato. Una grave forma ulcerosa aveva già intaccato il labbro superiore ed il naso e stava allargandosi alla guancia.

Cominciò il periodo della sofferenza più intensa. Nel settembre 1973 rinunciare a celebrare. Passò circa due mesi a Roma presso la casa di Riposo "Villa Agnese" tenuta dalle Suore Missionarie Clarisse che lo assistettero con grande cura e gli praticarono le medicazioni necessarie, ma non riuscirono a fermare l'infezione.
Dopo qualche tempo questa raggiunse anche gli occhi. Egli si rese conto che ogni speranza di guarigione era svanita e preferì tornare a Parma ove iniziò l'ultima parte del suo calvario. Affrontò questo finale periodo della sua vita con grande rassegnazione e con esemplare spirito di fede, assistito amorevolmente dagli studenti di teologia, dai confratelli vicini e da quelli lontani.
Uno gli scriveva dall'Indonesia: "Prego il Signore che le dia la grazia di sostenere la prova con tanto amore di Dio, tutto offrendo per la salvezza di tante anime che lei pure tanto ama...La croce è il misterioso dono di Dio a coloro che ama e la chiave del cielo.
Ed un altro dalla Sierra Leone "... La seguo nel suo Calvario con affetto, con edificazione, con più forza per il mio cammino..."
Ed un sacerdote suo amico: "...Nella sofferenza - è la più bella Messa che state celebrando - ricordatevi di noi".
Un'altra persona amica: "...E' forse adesso che Lei compie il più bel lavoro e dona il meglio di sè per quelle anime che ha tanto desiderato salvare..."

La sua salita al Calvario si concluse la mattina del 3 febbraio 1974: aveva veramente combattuta la buona battaglia e si presentava al Signore per ricevere il premio meritato in tanti anni di vita missionaria e sacerdotale.
 

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